“E questo è niente” (M. Cecchini, Bollati e Boringhieri, 2021)

Trama

In un piccolo paese della campagna fiorentina datata anni sessanta, vive Giulio, un sedicenne tetraplegico che dimostra la metà dei suoi anni. Il protagonista di questa toccante storia non può muovere né le gambe né le braccia. Dal suo letto osserva la vita dei suoi familiari e ascolta le vicende del paese in preda uno strano caso di misteriosa letargia che contagia per ventiquattro anni.

Giulio viene spesso definito “infelice” e “sfortunato” ma a guardare con i suoi occhi “i normali” probabilmente non è proprio così. Le vite di chi lo circonda sono tutte strampalate: un padre sospeso in un immobilismo emotivo, una madre sempre in cerca di nuovi sogni, un nonno capace di accudirlo con amore e raziocinio, essendo anche il medico del paese.

Giulio, che racconta in prima persona la sua storia, ha una voglia di vivere straordinaria e anche se si considera “il coso”, visto che si sente comunque incompleto, è consapevole di quanto sia comunque e in ogni caso una grande fortuna poter stare al mondo.

Un giorno la sua vita viene rivoluzionata: un medico, ispirato alla figura di Adriano Milani, inserisce Giulio in un percorso di riabilitazione fisica e psicologica pensata per i bambini e ragazzi che fino a quel momento non avevano spazi di recupero restituendoli la dignità nell’esistenza quotidiana. Si schiudono così nuove sensazioni, nuovi orizzonti e un percorso tutto da scoprire.

Note al margine

Il libro di Michele Cecchini è una storia che ha il sapore della fiaba senza mai scadere nel vittimismo patetico ma anzi portando il pensiero del protagonista a emergere e scuotere in maniera empatica il lettore.

E’ un inno alla vita “E questo è niente”: al contempo entriamo dentro le relazioni intime e complesse di una famiglia ma anche in quelle più ampie di un piccolo borgo rurale negli anni sessanta.

Questa visione caleidoscopica poi si allarga, fino a porci nel mezzo degli sviluppi sanitari in merito al trattamento dei giovani pazienti tetraplegici.

Ciò che rende il romanzo vivo e coinvolgente sono di certo la centralità di un tema coraggioso e per certi aspetti “scomodo” e le scelte stilistiche dell’autore.

La narrazione in prima persona, con un linguaggio semplice e a tratti infantile, ci permette di entrare pienamente e da subito nel mondo di Giulio ma soprattutto di fare nostro il suo punto di vista. Da questo sguardo vediamo come le esistenze spesso siano un rincorsa di aspettative, sogni, delusioni, attese così laceranti da perdere quella che è la caratteristica del nostro splendido “coso” protagonista della storia: la voglia di vivere. Nella narrazione l’autore alterna toni teneri a passaggi più crudi, come effettivamente la storia richiede coinvolgendo il lettore in un ritmo avvolgente.

Interessante la reale vicenda rievocata ispirata al medico Adriana Milani, fratello di Lorenzo, sacerdote di Barbiana e autore della rivoluzionaria “Lettera a una professoressa”: storia di Giulio esce tutta la necessità, tutt’ora attuale, di dare dignità e rispetto alle vite di chi difficilmente trova spazio e voce.

Il libro in una frase

“Anche i normali spesso piangono senza le lacrime. Basta guardarli bene per capirlo.”

Erika Pucci

@erykaluna

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